mercoledì 21 giugno 2017

SCEGLIERE LA PROPRIA GARA IDEALE SENZA ESSER VITTIMA DELL'”EFFETTO CAPRA”: IL CASO DXT, LUT E FU-DSR



DA LEGGERE FINO IN FONDO, INTERESSANTE E CONDIVISO IN PIENO

Tolte le pochissime gare più o meno ufficiali che esistono dagli anni settanta, il grosso boom del Trail Running c’è stato tra il 2006 ed il 2013.
Sì, c’è stato, perché ora le cose sono cambiate, perché ora la domanda è già in fase di contrazione. Non è più vero che il “trail va di moda”,  come non è vero che qualsiasi buzzurro può chiedere 1 euro al chilometro per far correre la gente sui sentieri senza dar nessun servizio reale. La musica è cambiata. Per fortuna, aggiungo.
Se tra il 2010 ed il 2014 c’è stato un boom di gare ed un moltiplicarsi di iniziative, più o meno di valore, dal 2015 abbiamo iniziato a vedere le prime sparizioni significative di gare dal calendario, ma cosa più significativa, stiamo apprezzando un fenomeno di decrescita delle iscrizioni in molte manifestazioni, associato ad un aumento della domanda per quelle più rinomate, amate e seguite. E’ in atto un processo di selezione e scrematura dell’offerta delle gare, processo innescato da due catalizzatori: il sovraffollamento dei calendari delle competizioni e dal fatto che il trail runner non si accontenta più di pagare 1 euro al km per un pettorale di carta ed un calcio nel sedere sulla start line.
Se da un lato un’offerta più selezionata da un consumatore più viziato è una buona cosa perché si alza il livello qualitativo, dall’altro molti percorsi di bellezza unica (vedi la Terra Acqua Cielo e la Dolomiti Sky Run) sono andati persi, e questo non fa piacere a nessuno.
Questa breve introduzione non rappresenta però in modo completo lo scenario del mondo del trail, manca il così detto “fattore capra”, e come tutti i moltiplicatori nascosti, il “fattore capra” è in realtà uno degli elementi che determinano in modo più significativo l’equazione.

Ma cos’è il “fattore capra”? E’ molto semplice spiegarlo.
Nel mercato dell’elettronica, prendiamo come esempio gli smartphone, vediamo un consumatore sempre più esperto ed una generazione di prodotto apre le strade alla successiva, creando interlocutori sempre più competenti, nel trail running avviene esattamente il contrario. Pensate ad un vecchio Nokia 3310 e all’ultimo modello di iPhone: se mettessimo in mano un iPhone ad un utente Nokia fine anni 90, probabilmente non riuscirebbe nemmeno a fare una telefonata. Il consumatore si è quindi evoluto ed aggiornato con l’evolversi e l’aggiornarsi del prodotto.

Il fattore capra rappresenta invece il processo inverso, ovvero il fatto che nel trail e mountain running era il vecchio consumatore, quello più esperto ed evoluto, mentre il nuovo consumatore è sempre meno esperto e competente in materia. Detto in parole povere: 15 anni fa in montagna ci correvano i montanari, o chi conosceva le regole e le dinamiche della montagna, oggi ci corrono anche gli atleti che fino a ieri stavano in pista o su asfalto.
Qui si potrebbe aprire un dibattito infinito sullo spirito trail e sulla sicurezza. Lasciamo perdere e torniamo al “fattore capra” come elemento determinante del successo o insuccesso di una gara.
Questa breve introduzione non rappresenta però in modo completo lo scenario del mondo del trail, manca il così detto “fattore capra”, e come tutti i moltiplicatori nascosti, il “fattore capra” è in realtà uno degli elementi che determinano in modo più significativo l’equazione.


Ecco come agisce: il mountain runner con esperienza almeno decennale si stufa sempre più delle gare e del circo che le circonda, cercando nuove esperienze, più lunghe con format diversi e in luoghi poco noti, abbandonando “i grandi classici” come la LUT, Ultrabericus o UTMB. E’ insofferente verso la nuova generazione di trail runner e nella maggior parte dei casi smette di gareggiare e torna a fare quello che faceva prima del boom del trail: ad andare in montagna e viaggiare per conto suo o con gli amici. Il nuovo runner, privo di tecnica e di esperienza ma pregno del “fattore capra” cerca le gare più rinomate e pretende percorsi sempre più corribili ed un trattamento sempre più vicino alla strada che alla montagna ed allo spirito di questo sport.  Quindi che il “fattore capra” genera una domanda che predilige gare che rappresentano uno status come LUT e UTMB ed hanno caratteristiche poco montane, penalizzando inevitabilmente le gare più autentiche, pure e vicine allo spirito della montagna.


Chi sopravviverà? Quali gare continueranno ad avere successo?  Le grandi classiche, ovviamente, alimentate dalle “capre” e da chi segue le masse (ben inteso, le ho fatte pure io e siamo tutti un po’ “capra”) e quelle gare che sapranno coniugare in modo efficiente lo spirito della montagna con le esigenze generate dal “fattore capra”. Fermo restando che molte classiche sono belle gare che ha senso fare,  almeno una volta.
Prendiamo ora tre gare sulle Dolomiti, la Dolomiti Sky Run, la Dolomiti Extreme Trail e la Lavaredo Ultra Trail. Cosa hanno in comune queste tre gare? La parola DOLOMITI, nulla più
Ve le descrivo in due parole:
LUT, Lavaredo Ultra Trail: Un percorso dove il runner medio passa nei punti che ha senso vedere in piena notte, poco tecnica, corribile al 100%, ottima organizzazione, prezzo alto, gara status symbol. La gente partecipa per dire: “ho fatto la LUT”. E’ arrivata tra le prime nel mondo delle ultra in italia e ha unito due parole magiche: CORTINA + TRE CIME DI LAVAREDO. La gente compra quello ma le Tre Cime si passano con il buio e di Cortina si respira giusto il traffico. E American Express ringrazia.
DSR, Dolomiti Sky Run: Un’idea bellissima, l’Altavia 1 delle Dolomiti. Un percorso veloce e semplice nella prima parte e durante la notte, più selvaggio e di bellezza unica nella seconda parte. Più impegnativa della LUT ma con un’organizzazione che nel corso degli anni ha completamente ignorato il feedback di chi ha partecipato, commettendo ogni anno gli stessi errori. Tragico epilogo nel 2017: chiusura della gara per mancanza di iscritti.


DXT, Dolomiti Extreme Trail: Unica gara che potrebbe affiancarsi alla Südtirol Ultra Skyrace. Il primo anno un tasso di ritiri altissimo, del 30% il secondo anno, un percorso molto tecnico ed impegnativo con viste sui classici dolomitici (Pelmo e Civetta) ma anche attraversando zone selvagge e tutte da scoprire, che però richiedono più impegno e tecnica, come la “Calada”. La particolarità della DXT è che accanto ad un percorso molto tecnico, per chi ama il genere, c’è un’organizzazione molto attenta al runner ed una presenza con una capillarità quasi imbarazzante su tutto il percorso sia di giorno che di notte. Forse è la prima gara che riassume le maggiori esigenze date da una minore esperienza del nuovo mountain runner, con un percorso tecnico e delle condizioni che possono piacere alla “vecchia scuola”. La considero quello che dovrebbe essere il futuro delle Ultra montane.

Ma vediamo ora come il “fattore capra” ha determinato un effetto su queste tre gare:

DSR: estinta per mancato raggiungimento del numero minim
LUT: aumentato il numero di partecipanti per l’effetto “status” ed il richiamo del binomio Tre Cime + Cortina.
DXT: leggera contrazione nel numero di partecipanti ma aumento oltre del 20% del numero di finisher.

Queste figure, a mio avviso, mostrano come da un lato molta gente continua ad iscriversi alle gare solo per una questione di “appartenenza” ma dall’altro si sta creando un’offerta parallela al mainstream che predilige la qualità del servizio e l’autenticità, come nel caso della DXT. Quello che manca ancora alla DXT è una maggiore morbidezza dei cancelli, in quanto i tempi sia sulla 53 che sulla 103, obbligano ad un ritmo abbastanza serrato anche i meno veloci. Sembra che nel 2018 verranno ulteriormente estesi.

Ecco quindi qualche consiglio, sia per le “capre” che per le “non-capre” su quale gara scegliere:

LUT: poco tecnica, adatta a chi vuole correre forte. Ma attenzione, non sperate di fare bella figura, perché la competizione è altissima e a questa corsa sono presenti gli atleti più veloci ed accaniti. Vi troverete accanto ai numeri uno, quindi se siete abituati a vincere le garette di paese, qui aspettatevi grandi bastonate. Lo spirito con cui affrontarla è quello di godersi una corsa lunga, dove in molti punti è possibile tenere un passo costante senza però affrontare dislivelli o terreni troppo impegnativi. La considererei una “entry level” della corsa in montagna su lunghe distanze. Perfetta come prima 120 km in montagna. Non affrontatela credendo che dopo la LUT sarete mountain runner navigati, anzi, siate consapevoli che avete fatto si una lunga distanza e un buon dislivello, ma su un terreno di gran lunga più accomodante rispetto alla maggior parte delle gare alpine di pari dislivello e lunghezza. Hai fatto la LUT? Bravo. Ora puoi iniziare a correre in montagna!




DXT: non ha nulla a che vedere con la LUT. Un percorso più lento e semplice nella prima parte, dove si concentra il dislivello, più tecnico ma con tratti veloci nella seconda parte. Non fate il madornale errore di pensare alla DXT se non avete trovato posto alla LUT. Sono due universi paralleli, che mai si incontreranno o scontreranno,  affrontando la DXT si sceglie un percorso dove non sempre è possibile correre e dove ci sono alcuni passaggi che richiedono attenzione. 

Non sono adatti a chi è alle prime armi. E’ un’esperienza Dolomitica completa, che unisce due anime dei queste montagne: quella più nota e turistica con quella più selvaggia e meno esplorata. Si affronta ogni sorta di terreno ed ogni tipologia di sentiero o traccia. Più che definirla Dolomiti Extreme, la definirei come Estremamente Dolomiti: la perfetta sintesi Dolomitica. Se in passato una piccola nevicata del tutto normale a fine giugno sopra i 2000 ha spinto gli organizzatori della LUT a tagliare il tratto più bello e con cui vendono la gara, alla DXT il passaggio sui nevai del sentiero del Tivan, viene considerato il climax della gara, uno dei punti più belli. Ovvero la mortadella nel panino. Già questo spiega bene la visione antitetiche delle due organizzazioni. Vuoi iscriverti alla DXT? Preparati ad un viaggio, alla scoperta ed al contatto con una natura a tratti quasi incontaminata, e sebbene ci sia molta assistenza, questa gara non è adatta a te se non hai un’esperienza di base in montagna.

Non siate capre, che scegliate la LUT, la DXT o qualsiasi altra gara, fatelo studiando il percorso, capendo lo spirito che sta a monte della competizione. La consapevolezza di quello che si fa è l’unica cosa che conta.
Un “organizzatore capra”, ignorante e presuntuoso,  un giorno ha detto: “ben venga la LUT che apre la strada alle altre gare” – Mai fu detta una castronata così grande! Ogni gara ha la sua identità e le sue caratteristiche. Mettere due competizioni con chilometri e dislivelli analoghi sullo stesso piano, porta soltanto a gradi delusioni o a situazioni di pericolo. Così si ragiona su asfalto: 42.195 sono 42.195 e la maratona di NY desta interesse su tutte le maratone.

Le affinità, le similitudini ed i punti comuni tra gare ci sono, ma questi non vanno ricercati nei numeri che rappresentano distanza e dislivello, queste sono racchiuse nello spirito della gara e le condizioni del terreno e del meteo.

Essere finisher di una gara non è motivo per cui postare una foto o possedere il feticcio di una medaglia utile solo (spero) ad una maturazione mentale. Essere finisher significa aver raggiuto un traguardo: esso sia l’aver completato un viaggio o l’aver fatto un buon tempo.


Fonte: Sent1erouno








STRETCHING O ALLUNGAMENTO FUNZIONALE?



Nel corso della storia della metodologia dell’allenamento, sullo stretching (o allungamento muscolare) si sono viste diverse posizioni, dalle più critiche alle più entusiaste; tutto questo avveniva a seconda degli esiti delle ricerche scientifiche che, di anno in anno, si susseguivano. Con l’avvento dell’allenamento funzionale, la conoscenza su questo argomento, si è potuta convergere verso la direzione più costruttiva e sintetica possibile, cioè la funzionalità! Per questo, d’ora in avanti, abbiamo deciso di utilizzare il termine Allungamento funzionale tutte le volte che con l’allenamento si va ad agire sulla capacità delle catene muscolari non solo di “estendersi”, ma anche di gestire le posizioni di allungamento tipiche della disciplina praticata con disinvoltura (efficacia, rendimento atletico e benessere). Questo post è quindi rivolto agli allenatori, istruttori, atleti ed amanti del fitness che vogliono migliorare la conoscenza sull’argomento ed avere i mezzi per gestire i propri “movimenti allenanti” nella direzione più funzionale possibile alla propria disciplina e al proprio benessere.

ALLUNGAMENTO FUNZIONALE E FISIOLOGIA

Prima di passare all’aspetto pratico dell’argomento, credo sia giusto fare un semplice (e comprensibile a tutti) cenno alla fisiologia dell’allungamento. Nel post dedicato all’allenamento funzionale, abbiamo approfondito 2 aspetti molto importanti:
·    I muscoli e le fasce connettivali sono concatenati da legami e tensioni che portano al riconoscimento di diverse catene muscolari come quella posteriore, quella estensoria, quella flessoria, ecc.
Infatti, all’interno del corpo umano, abbiamo i muscoli della statica, i muscoli della dinamica e le fasce connettivali; questi sono embricati tra di loro (cioè sovrapposti ed organizzati) in diverse catene muscolari, che possiamo definire come un insieme di muscoli e tessuti responsabili di determinate direzioni di forza (movimenti).
·    Il cervello umano riconosce il movimento delle catene muscolari e non le azioni solate di un singolo muscolo.


Questo significa che anche l’allungamento muscolare, cioè che i movimenti utilizzati per l’allungamento, affinchè diventino efficaci devono coinvolgere le catene muscolari nel loro complesso. Infatti, il grado di allungamento di una catena muscolare (cioè quanto riusciamo ad essere flessibili), non è altro che la conseguenza dell’effetto diretto delle posizioni maggiormente assunte in allenamento. In altre parole, è l’insieme di tutti gli stimoli allenanti a determinare l’allungabilità di una catena muscolare, l’efficienza e la precisione dei gesti ad angoli articolari estremi.
  


Spero che adesso sia più chiaro comprendere come per gestire angoli articolari estremi della propria disciplina (o solamente della vita quotidiana) è necessario allenarsi a determinati angoli, e non solo “allungare” le catene muscolari.

PERCHÈ UN MUSCOLO FATICA AD ALLUNGARSI?

La risposta più banale potrebbe essere “perché non è sufficiente lungo”; ma è una risposta ad una domanda che poco ha a che fare con il senso pratico del movimento. Infatti una domanda più consona (ed interessante) potrebbe essere:
Perché un determinato soggetto non riesce a gestire l’articolarità e l’efficienza del gesto agli angoli articolari estremi della propria disciplina (o della vita quotidiana)?
Le cause potrebbero essere diverse:
·    Perché ha una o più catene muscolari troppo rigide: la rigidità solitamente si genera da atteggiamenti posturali che nel corso della vita vanno ad accorciare le catene muscolari o dal fatto di avere una semplice vita sedentaria. Ad esempio il classico lavoro “da scrivania” tende a far accorciare la catena posteriore, non solo a livello muscolare, ma a livello di tutta la fascia connettivale.
·    Perché uno o più muscoli sono troppo deboli: un muscolo debole fa fatica ad allungarsi, proprio perché esistono dei meccanismi protettivi (del sistema nervoso centrale) che evitano al muscolo di raggiungere un certo livello di stress tensivo, che è maggiore tanto più debole è il muscolo. La debolezza di un singolo muscolo, ovviamente si ripercuote su tutta la catena muscolare, generando difficoltà di natura coordinative con importanti ripercussioni sulla tecnica.

DALL’ALLENAMENTO FUNZIONALE ALL’ALLUNGAMENTO FUNZIONALE

Una volta compresi i concetti espressi sopra, è facile comprendere come i movimenti dell’allungamento funzionale non possono altro che derivare da quelli dell’allenamento funzionale.

Nell’immagine sopra, sono elencati i movimenti dell’allenamento funzionale che abbiamo sintetizzato e semplificato (dalla versione originale) nel post dedicato all’argomento. Di conseguenza, è ovvio che i movimenti dedicati all’allungamento in ogni disciplina, andranno presi da questi e dalle loro variabili.
Ma come fare a strutturare un corretto programma di allungamento funzionale?
Ovviamente (com’è stato per l’allenamento funzionale) il punto di partenza è sempre il modello funzionale tecnico e biomeccanico di gara. Una volta individuati gli angoli articolari più “estremi” della disciplina, le eventuali carenze di natura neuromuscolare che possono limitare i range articolari e il grado di stabilità/dinamicità richiesta a determinati angoli, sarà possibile strutturare il corretto programma, da strutturare sempre con gradualità e progressività.



Ogni disciplina deve quindi avere il suo protocollo di allungamento, che tiene in considerazione della funzionalità! Nell’immagine sotto, ad esempio, sono riportati gli allungamenti funzionali di un runner che effettua corsa su strada; come potete vedere, all’interno di questi è inglobato anche un protocollo di core stability, che è necessario per la funzionalità del “core” e di conseguenza per la gestione dei muscoli stabilizzatori e delle “cerniere” tra le varie catene.


Un calciatore invece, rispetto ad un runner, si trova a dover gestire più movimenti legati ai cambi di direzione e alle rotazioni. Di conseguenza, l’esempio della figura sopra dovrà essere arricchito da affondi laterali e in diagonale, meglio se accoppiati a torsioni del busto. Gli stessi movimenti per la catena posteriore, dovranno essere gestiti anche a catena cinetica aperta, visto il rischio di infortuni a cui si può andare incontro quando si calcia il palone in condizioni di affaticamento. Sotto riportiamo alcune domande e risposte che possono insorgere alla luce di queste considerazioni sull’allungamento funzionale.
·    In quale momento dell’allenamento andrebbe fatto l’allungamento funzionale? A mio parere il momento migliore è nella parte centrale/finale dei riscaldamento, quando si è sufficientemente caldi e prima di effettuare la parte intensa dello stesso.
·    Alla luce del concetto di allungamento funzionale, lo stertching “classico” va abbandonato? Se parliamo di “Stretching dinamico”, credo che possa coesistere con profitto con l’allungamento funzionale in sport di squadra come il calcio. Personalmente in allenamento, inserisco lavori di stretching dinamico nelle esercitazioni di rapidità coordinativa, in cui i movimenti vengono vincolati da attrezzi (ostacoli, coni, nastro, ecc.) e di conseguenza è possibile (col tempo) richiedere maggiore precisione e velocità. L’utilità dello “stretching statico” è ormai relegato alle sole situazioni di defaticamento quando i carichi di lavoro sono molto elevati (ad esempio durante la preparazione) in relazione alla condizione di forma;  in queste condizioni, l’affaticamento causa un ipertono che è meglio “rilassare” a fine seduta (se non sono presenti lesioni). Altra eccezione a mio parere lo può fare il prepartita, per soggetti che presentano un ipertono dovuto alla tensione pre-gara; in questi casi può essere utile (soprattutto dal punto di vista psicologico) allungare in maniera blanda i muscoli percepiti come più “rigidi”.

·         È consigliabile, quando possibile, individualizzare anche i protocolli di allungamento funzionale? Ovviamente si, soprattutto in base alla propensione agli infortuni e per i soggetti con una o più catene muscolari deboli o rigide. In questi casi, è da prendere in considerazione anche la ginnastica posturale come il Metodo Mezieres (che per prima ha sviluppato il concetto di catena muscolare), particolarmente mirato al recupero della lunghezza e dell’estensibilità delle catene; oltre a questo, sono da considerare anche protocolli di potenziamento muscolare mirati al rinforzo di catene o compartimenti muscolari deboli. Di conseguenza, eventuali paramorfismi o dismorfismi devono assolutamente essere inquadrati nella soggettività dell’atleta, per offrire la metodologia d’allenamento più appropriata.
·    Quali punti in comune e quali differenze hanno l’allenamento e l’allungamento funzionale? Il maggior punto in comune sono i movimenti di partenza sui quali strutturare i protocolli. Ovviamente anche l’effetto allenante in alcune situazioni può essere sovrapponibile; ad esempio, l’affondo è un ottimo movimento per sviluppare sia la forza che la mobilità della catena antero/interna. Se invece voglio lavorare sulla catena posteriore per allenare la Resistenza muscolare (per migliorare ad esempio nella corsa in salita) utilizzerò il nordic hamstring stretching, mentre se lo scopo è quello di lavorare sulla mobilità, sfrutterò il single leg deadlift.

CONCLUSIONI

Il miglioramento dell’articolarità può avvenire per stimolo intensivo (cioè accompagnata da lavoro muscolare di varia intensità) od estensivo (senza o con minimo lavoro muscolare). È ovvio che il primo di questi (intensivo) accoglie meglio il principio di funzionalità sportiva e di gestione dei movimenti, ed è quindi da preferire. Solo fondendo la funzionalità e la specificità con il principio dell’allungamento è possibile ottenere una gestione del movimento ad angoli articolari estremi tipici della disciplina praticata.