lunedì 24 ottobre 2016

I LIMITI DELLA PRESTAZIONE UMANA IN ALTA QUOTA: L’ ESPERIENZA DEGLI SKYRUNNERS



Autore il Dott. Giulio Sergio Roi, nato a Verona il 14 Ottobre 1953, residente a Bologna, laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Medicina dello Sport presso l’Università degli Studi di Milano.


Ha svolto attività didattiche come professore presso facoltose università italiane, svolge attività congressuali in Italia e all’estero ed è autore di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche nonché autore di alcuni libri.
Ha collaborato con le principali federazioni sportive italiane: Scherma (FIS), Sport Invernali (FISI), Sci Nautico (FISN), Sport del Ghiaccio (FISG) e Triathlon (FITRI).
Il motivo per il quale lo conosciamo tutti, e per il quale gli siamo grati, è il fatto che sia uno dei soci fondatori della Federazione Sport d’Alta Quota (FSA), poi diventata ISF (International Skyrunning Federation) e che attualmente vesta l’incarico di Presidente della Federazione Italiana di Skyrunning (FISKY).
Ha partecipato come responsabile medico-scientifico alle spedizioni in alta quota in Nepal, Tibet, USA e Mexico, quando lo Skyrunning era ancora agli inizi.
Dal 2001 dirige l’Education & Research Department del Gruppo Medico Isokinetic; per oltre 10 anni è stato il responsabile del laboratorio di Valutazione Funzionale del Centro Marathon di Brescia, diretto dal Dott. Gabriele Rosa.
Ha partecipato alla preparazione di numerose imprese sportive tra le quali:
Record del mondo 24 ore pattinaggio su ghiaccio (squadra Nazionale Italiana, 1993)
Record del mondo dell’ora di pattinaggio su ghiaccio (Roberto Sighel, 1998)
Record Cervinia-Cima Cervino e ritorno (Bruno Brunod, 1995)
Record salita all’Aconcagua (Brunod, Merlati, Pellissier 1999)
Ritorno allo sport in 77 giorni di Roberto Baggio dopo ricostruzione del LCA (2003)
Conquista dell’Everest da parte della prima donna italiana (Manuela di Centa, 2003)

Salita al K2 della spedizione degli “Scoiattoli” di Cortina d’Ampezzo (2004)
  


Da sinistra: Jean Pellissier, Dott. Giulio Sergio Roi, Bruno Brunod e Marco De Gasperi, nel 2012 a Cervinia, in occasione della ricerca scientifica “come respirano gli skyrunner”.
Ma veniamo al suo studio, oggetto del nostro articolo:

I LIMITI DELLA PRESTAZIONE UMANA IN ALTA QUOTA: L’ ESPERIENZA DEGLI SKYRUNNERS
di Giulio Sergio Roi

Oggi tutti sanno che l’uomo può raggiungere le vette di tutti gli ottomila della Terra respirando solamente l’aria dell’ambiente, così come si sa che è possibile, con determinate condizioni di innevamento, scendere sciando da una parete rocciosa verticale, quale ad esempio il Cervino, così come si sa che in mare è possibile scendere in apnea oltre i 100 m di profondità. Lo sport competitivo ha oggi delimitato abbastanza precisamente i limiti della prestazione umana in molte discipline. Conosciamo infatti i limiti della prestazione nelle corse di velocità, nei lanci, nei salti, nel ciclismo e in molte altre specialità. In particolare notiamo che, dove vi sono numerosi praticanti o un qualche interesse economico, la prestazione-limite è ben conosciuta e può essere solo ritoccata. Restano però numerosi aspetti della prestazione umana che devono essere ancora indagati. Ad esempio, fino a qualche anno fa si pensava che non fosse possibile correre a quote superiori a 4000 m . Oggi sulla base dei dati raccolti durante le esperienze di gara condotte dagli Skyrunners, i “Corridori del Cielo”, abbiamo stabilito che la quota limite dove è teoricamente possibile utilizzare la corsa come forma di locomozione umana, sembra essere circa 7000 m , a patto che l’atleta sia dotato di un’elevata potenza aerobica. Purtroppo a 7000 m l’ambiente è troppo ostile ed il freddo e la neve impediranno di verificare sul campo questa ipotesi. Gli Skyrunners sono il prodotto naturale della storia della corsa e della storia dell’alpinismo. Infatti, il desiderio di raggiungere nel più breve tempo possibile la cima di una montagna ha da sempre attratto, più o meno palesemente, quanti si trovano di fronte ad essa ed in particolare l’alpinista. Tuttavia la ricerca della massima velocità possibile non è solo un desiderio fine a sé stesso, ma in molti casi può costituire un fattore di sopravvivenza. Ecco quindi la corsa dei nostri antenati, come momento fondamentale della vita quotidiana, dove cacciare, inseguire, o fuggire diventavano appunto l’espressione dell’istinto di sopravvivenza. Ecco ancora, fino a pochi anni fa nelle zone montane di confine, la corsa dei contrabbandieri-spalloni per eludere i controlli doganali e racimolare qualche spicciolo in più che permettesse loro una migliore esistenza. Ecco ancora la corsa come mezzo di comunicazione in un ambiente, la montagna, dove per aumentare la velocità si può solo correre: nelle montagne messicane i Tarahumaras corrono con i sandali per necessità e per diletto; nelle montagne himalayane i Lrun Pa, i mitici monaci tibetani, corrono soprattutto di notte da un monastero all’altro, e si dice siano dotati del potere di accorciare le distanze effettuando lunghissimi passi senza mai toccare terra. La storia si confonde con la leggenda ed oggi tutto ciò può essere rivisitato anche in chiave sportiva grazie agli Skyrunners. La prima traccia di salita rapida verso una vetta si incontra già nel 1864, quando il percorso da Chamonix alla vetta del Bianco e ritorno, viene coperto in 16 ore e mezza. Da allora la storia dell’alpinismo e la storia della corsa riportano numerose altre imprese, le più importanti delle quali sono riportate nella tabella 1.

Tabella 1: evoluzione delle migliori prestazioni degli Skyrunners.
 

Ma quali sono le principali difficoltà che un atleta incontra quando si accinge ad affrontare queste prove? In realtà la prestazione sportiva in quota può risultare migliorata o peggiorata. Le discipline sportive che si giovano di una diminuita densità dell’aria risulteranno sicuramente migliorate. Tali discipline comprendono principalmente il ciclismo, i salti, i lanci e la velocità breve in atletica leggera: in pratica tutti gli sport in cui la velocità pura è determinante ai fini della prestazione. D’altra parte le discipline sportive nelle quali la prestazione dipende principalmente dalla massima potenza aerobica dell’atleta saranno penalizzate. Infatti con l’aumentare della quota la massima potenza aerobica (cioè il massimo consumo di ossigeno) è progressivamente diminuita, indipendentemente dalla durata della permanenza in quota. Vale a dire che sia chi è nato e vive in quota, che chi vi è appena giunto, come chi si è acclimatato presentano la stessa diminuzione in percentuale della loro massima potenza aerobica rispetto al livello del mare. Infatti la massima potenza aerobica dipende dalla pressione parziale dell’ossigeno nell’aria inspirata e questa dipende dalla pressione atmosferica che, come è noto, diminuisce con l’aumentare della quota. La diminuzione della massima potenza aerobica può essere facilmente rilevata analizzando i risultati delle maratone effettuate a varie altitudini. Ricordo che la maratona è una gara di corsa a piedi su percorso pianeggiante lungo 42 km e 195m. La prima maratona in quota fu disputata nel 1968 durante i Giochi Olimpici di Città del Messico e fece registrare un peggioramento rispetto alla migliore prestazione di allora di poco meno del 9%. Con gli Skyrunners abbiamo organizzato diverse maratone a 4300 m di quota ed una a 5200 m . Tutte sono state disputate sul terreno pianeggiante degli altopiani del Tibet e tutte sono state vinte dall’americano Matt Carpenter (Tabella 2). E’ interessante notare che le migliori prestazioni alle diverse altitudini indicate nella tabella 2 sono state ottenute da atleti nati e cresciuti a quote comprese tra 2000 e 3000m.

Tabella 2: migliori prestazioni sulla maratona a diverse altitudini




I risultati raccolti sugli Skyrunner che hanno partecipato ad una maratona a livello del mare e alle maratone del Tibet indicano che, in termini di prestazione, gli atleti meno veloci perdono di più in quota rispetto ai più veloci. Ad esempio il vincitore evidenzia a 4300m di quota un peggioramento di velocità del 21% rispetto alla velocità del proprio personale a livello del mare, mentre l’ultimo classificato evidenzia un peggioramento di velocità circa doppio (+42%). Queste differenze sembrano dovute alla diversa capacità di sfruttare un’elevata percentuale della massima potenza aerobica ed al diverso costo del lavoro dei muscoli respiratori in quota. Un altro limite con il quale gli Skyrunners si confrontano è la velocità di salita e/o di discesa. Opportunamente allenati questi atleti sono in grado di esprimere una velocità in salita a quote comprese tra i 2500 ed i 4000 m attorno ai 1500 m di dislivello per ora, mentre la velocità di discesa può superare i 2500 m di dislivello per ora, grazie anche alle capacità di scivolamento sulla neve. I risultati di numerose indagini effettuate sugli Skyrunners indicano che la corsa a piedi ad altitudini comprese tra 2000 e 5200 m comporta modificazioni fisiologiche simili a quelle che si possono osservare a livello del mare. Inoltre le gare di corsa in alta quota non sembrano aumentare il rischio di mal di montagna, a patto che gli atleti siano ben allenati, acclimatati e siano stati dichiarati idonei dal punto di vista medico-sportivo.
L’evoluzione delle tecniche di locomozione, l’evoluzione dei materiali e delle metodiche di allenamento porteranno probabilmente in tempi brevi, ad un abbattimento dei record finora stabiliti e ad una migliore definizione dei limite della prestazione umana in alta quota.

Fonte: InfinityRun




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